L'ATTACCO ALLA SALUTE DEI LAVORATORI: IL MOBBING

Torino -

…Pare proprio che in Italia muoiano più persone per lavoro di quanti siano i soldati americani che muoiono in Iraq per la guerra…”. Così ha esordito Pino Larobina, RSU e RLS SdL presso la Kuehne & Nagel di Torino, al congresso su Sicurezza e Lavoro dello scorso 23 febbraio (i filmati relativi al suo intervento sono disponibili per il download, nel formato di Windows Media Player, dal fondo di questa pagina), sottolineando il fatto che quando muore un soldato in uno dei vari teatri di guerra si scatena la retorica dell’eroe, quando muore un lavoratore nessuno ci fa caso… Alla morte sul lavoro i giornali ci hanno abituati e si tratta di un’abitudine atroce. “…Di lavoro non si deve morire! …E non bisogna abituarsi a questo.” , così continuava il suo intervento Larobina, passando successivamente a considerare un altro aspetto dell’attacco alla salute dei lavoratori: quello psichico e morale del mobbing, che avvelena la salute di migliaia di individui sui posti di lavoro. Larobina ha dettagliatamente descritto l’escalation di comportamenti intimidatori che costituiscono il penoso tunnel del mobbing e che conduce al manifestarsi di patologie depressive psicosomatiche che possono condurre l’individuo sull’orlo del suicidio. Il termine inglese, derivato dal verbo “to mob”, è stato coniato dall’etologo Konrad Lorenz che lo ha utilizzato per indicare quei comportamenti violenti che un gruppo animale rivolge ad un suo membro; nella definizione di Wikipedia si tratta di “…un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, etc.) perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell'insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza.” Lo scopo dell’azione di mobbing (bossing o bulling, se messa in atto da un pari grado) è la messa fuori causa, il licenziamento del lavoratore. Pertanto è molto diffusa nelle aziende in fase di ristrutturazioni che tendano a ridurre gli organici (down-sizing).

Come per altri fenomeni legati all’ambiente e alla sicurezza sul lavoro, i dati disponibili per il mobbing non sono che la punta emersa di un fenomeno in gran parte sommerso perché si riferiscono ai soli casi acclarati. Secondo dati del 2003, erano oltre un milione e mezzo i lavoratori italiani vittime del mobbing su 21 milioni di occupati, con percentuali più alte al Nord (65%) e fra le donne (52%); il 70% dei casi riguardavano la pubblica amministrazione e il calo di produttività individuale era influenzato da flessioni del 70% (dati ISPESL, Istituto per la Prevenzione e la sicurezza del Lavoro). Sebbene i numeri siano inquietanti, ancora non esiste nel codice penale italiano, il reato di “mobbing”; tuttavia gli effetti dell’azione di mobbing – la sindrome depressiva, la malattia psicosomatica o quant’altro – sono considerati malattie professionali indennizzabili dall’INAIL, per le quali il datore di lavoro può essere considerato penalmente e amministrativamente responsabile.

Cosa fare, quindi, se si ritiene di essere oggetto di mobbing da parte del capo, dei colleghi o del datore di lavoro?

 

  • Bisogna farsi certificare da un medico le proprie condizioni di salute;
  • Dimostrare il rapporto causa-effetto che le lega all’ambiente di lavoro e alle pressioni subite al suo interno;
  • Richiedere all’INAIL il riconoscimento del danno derivato da malattia professionale;
  • Fare causa, sulla base del punto precedente, al datore di lavoro.

 

…Tutto l’iter non è facile e i risultati per nulla scontati, ma subire supinamente è di gran lunga più pericoloso.