Noi lavoratori dell'INPS

prima di tutto siamo persone con una dignità.

Novara -

Ripensando alla tragedia che si è consumata lo scorso mese di giugno nella sede di Torino Nord (dove una lavoratrice disoccupata e senza il sussidio di disoccupazione si è cosparsa di liquido infiammabile e si è data fuoco), vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà ai colleghi che hanno vissuto quel terribile momento.

Purtroppo simili episodi, che sono sempre più frequenti e potrebbero capitare a ognuno di noi, ci offrono lo spunto per riflettere sulla difficile situazione in cui si trova il nostro Paese.

L’art. 4 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, mentre l’art. 36 sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro, che sia sufficiente a garantire al lavoratore un’esistenza libera e dignitosa.

Ma è proprio così?

La realtà è che i diritti dei lavoratori vengono regolarmente calpestati, senza distinzione tra settore privato e settore pubblico.

Noi lavoratori, prima di tutto siamo persone con una dignità. Siamo tutti sullo stesso piano: sia i cittadini che si rivolgono all’INPS per chiedere un sostegno economico quando lo Stato nega loro l’inalienabile diritto al lavoro, sia noi dipendenti dell’Istituto che viviamo quotidianamente il disagio di non riuscire a dare risposte concrete all’utenza.

Davanti alla disperazione e al malessere sociale, le nostre coscienze non si accontentano di sapere che tutto viene fatto nel rispetto dei protocolli stabiliti dalla normativa. Siamo pienamente consapevoli del difficile contesto economico e sociale in cui si trova il Paese, e proprio per questo vorremmo poter rispondere celermente alle richieste di aiuto che quotidianamente riceviamo. Siamo realmente motivati a dare il nostro personale contributo per rendere in qualche modo migliore la realtà, perché crediamo fino in fondo che l’INPS ci debba essere, e l’INPS siamo noi.

Ma, al pari dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati che si presentano ai nostri sportelli, siamo anche noi vittime di un sistema malato che sta collassando per la volontà di chi porta avanti un piano inarrestabile di smantellamento dello stato sociale, poiché siamo stretti tra la necessità di raggiungere gli obiettivi facendo i numeri e la necessità di dar corso alle istanze sempre più numerose di utenti che spesso vivono già situazioni di esasperazione quando si rivolgono a noi. Per questo ci sentiamo incapaci, ma siamo ancora di più arrabbiati, e questa sensazione di inadeguatezza ci accompagna anche quando usciamo dalla porta dell’ufficio.

Ci rendiamo conto che stiamo rapidamente invecchiando per il mancato turn-over del personale che ci rende sempre meno numerosi a erogare una varietà sempre maggiore di prestazioni, in condizioni di scarsa sicurezza.

Utilizziamo quotidianamente procedure informatiche che fanno acqua da tutte le parti, lavoriamo pratiche di altre sedi per distribuire al meglio i carichi di lavoro, alcuni di noi sono addirittura impegnati in uffici diversi a giorni alterni per coprire la carenza di organico, e tutti, nelle singole realtà in cui operiamo, cerchiamo di garantire il raggiungimento degli obiettivi. Siamo costretti a lavorare le istanze di più recente acquisizione perché gli indici di produzione ce lo impongono. Ma chi ha architettato tutto questo non pensa che dietro l’arretrato che siamo costretti ad accantonare ci sono persone come tutti noi con le loro famiglie e i loro problemi quotidiani da affrontare. Solo noi abbiamo la coscienza di capirlo?

Crediamo profondamente in quello che facciamo e nel ruolo sociale dell’Istituto.

Ma non produciamo bulloni. Il nostro lavoro non deve essere misurato sulla base del numero di pezzi a fine mese: non possiamo pensare solo alle quantità che riusciamo a contare, ma ci dovrebbe essere consentito di curare la qualità, perché i nostri utenti sono persone, come noi, e tutti, siamo lavoratori che chiedono rispetto.

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