Teatro Regio di Torino: lo spettro del commissariamento è l'ennesima batosta ai lavoratori
La “proposta” di commissariamento del Teatro Regio di Torino sembra giungere come un atto emblematico e conclusivo dell'emergenza Covid-19, ma guardando meglio, e soprattutto più “in lontananza”, scoperchia fragorosamente (almeno) un ventennio di gestione del Teatro.
Da quando, come in tutti gli altri principali teatri lirici italiani, si è avviata la fase della privatizzazione con la nascita delle Fondazioni (1996), i Teatri lirici sono via via entrati in un circolo di dipendenza dall'apporto del capitale privato (principalmente bancario), a cui tutte le gestioni politiche sono rimaste “imbrigliate”. I vincoli di bilancio di tipo privato (si veda a riguardo la legge Bray) conseguenti al fatto che il capitale prestato deve comunque essere “remunerativo”, hanno finora avuto un unico risvolto certo e costante: l'erosione dei redditi dei lavoratori, l'aumento della precarietà e l'oscuramento dei diritti. A ciò si è accompagnato, a Torino, come altrove, un fenomeno anch'esso costante ed organico con il modello capitalistico: lo scandalo della corruzione, laddove appalti e lavorazioni, spesso non sono altro che coperture e scambi clientelari, unite al vantaggio padronale di abbassare il costo del lavoro e d'innalzare la disoccupazione.
A Torino la mancanza di liquidità non è certo un fatto nuovo. Nel 2011, in epoca Fassino, al Teatro, in sostituzione di “risorse spendibili” sono stati girati alcuni “beni immobili”. Nel conseguente vortice di prestiti, gli istituti bancari sono quindi dovuti intervenire più volte e ciò non ha, però, determinato una procedura di commissariamento. Oggi rileviamo che i soggetti strategici bancari non sono più disposti ad erogare le coperture, aprendo così lo scenario del commissariamento, in un contesto di dubbia legittimità, anche legale, verso questa procedura.
In tutto ciò, uno sguardo “in lontananza” non vede altro che lo “spettro” dell'ennesimo tentativo di dare un'altra “batosta” ai lavoratori, a coloro che hanno sempre pagato tutte le crisi di questo abominevole sistema. Gli ultimi 3 decenni di gestione del Regio si “aprono” con il il licenziamento dell'intero corpo di ballo (sotto la gestione Elda Tessore), gli anni a venire poi, in un contesto di crescita costante nel numero degli spettacoli, il Teatro ha patito una mancata revisione della propria pianta organica, oggi assolutamente inadeguata alle produzioni, inoltre la maggioranza degli interventi vengono esternalizzati e la precarizzazione selvaggia non ha visto nessun argine degno di nota.
Il capitale bancario ha tutto l'interesse a fare ciò nel tentativo di proteggere i profitti, in una fase di crisi generalizzata; il sistema politico non ha finora mostrato nessuna vera indipendenza da quest'ultimo. Il mondo sindacale “storico” si è reso via via sempre più fievole nel denunciare lo scippo ai diritti dei lavoratori che è il vero nucleo di questo sistema, fino a rendersi praticamente soggetto d'accompagnamento di un modello che va invece totalmente combattuto e rivisto. Si inizia con qualche compromesso al ribasso dietro la retorica del salvaguardare il “bene comune”, e si finisce che non c'è più un orizzonte da guardare.
L'Unione Sindacale di Base dichiara fin da subito che non è assolutamente ammissibile alcuna fuoriuscita dall'ennesima crisi, con il metodo della “batosta” o del “contributo” solidale dei lavoratori. Rispetto a questo vortice senza fine, dentro questo sistema di rapina verso i diritti dei lavoratori che si auto-replica, è necessario puntare i piedi, rimanere ben saldi e costruire le nuove lotte per riportare al centro della cultura i lavoratori e i loro diritti e, con ciò, un orizzonte da guardare.
Coordinamento Nazionale Cultura - USB