Educare a che cosa?
Il dilemma della scuola e la scorciatoia repressiva
Educare a che cosa?
Il dilemma della scuola e la scorciatoia repressiva
Il 22 marzo a #Torino si terrà un corso di #formazione rivolto ai #Dirigenti e ai #docenti delle scuole, dal titolo "Educare alle differenze nell'ottica del contrasto ad ogni forma di estremismo violento. Approccio integrato e intersettoriale per prevenire e combattere la radicalizzazione violenta dei giovani".
Era importante riportare per esteso il titolo, perché utile a ciò che segue. Nella miriade di corsi di formazione che ogni giorno riempiono circolari e proposte formative e che giungono alle mail di migliaia di docenti della nostra città, ci è sembrato necessario, come #USBScuola Torino, riflettere e proporre, agli stessi dirigenti e agli stessi docenti, qualche considerazione nel merito, che "denaturalizzi" quel rapporto tra istituzioni formative e apparati repressivi, siano forze di polizia, magistratura o peggio ancora apparati militari, che ormai vengono vissuti come normali, mentre dal nostro punto di vista presentano diverse problematicità.
Si parte da un assunto, che la radicalizzazione sia di per sé un problema, e che un approccio integrato tra scuola, psicologi, forze di polizia, magistrati possa fare rete ed impedire che la radicalizzazione si sviluppi.
Sia chiaro a scanso di equivoci, nessuno qui sta negando l'esistenza di forme di radicalismo violento che si manifestano per lo più sul web, di una lettura in termini di scontro di valori e civiltà tra quelle che sono culture differenti (in cui la reazione "estremista" spesso non è altro che il *riflesso* della marginalizzazione prodotta dalla cultura egemone in un determinato paese). Pensare di affrontare però solo così la condizione delle seconde generazioni di immigrati, offrire una chiave di lettura del radicalismo "religioso" sulla base di una supremazia valoriale occidentale, destoricizzare i fenomeni, finisce ovviamente per ridurre tutta la questione a un problema di prevenzione-segnalazione-provvedimenti.
Ognuno fa ovviamente il suo lavoro, la polizia fa la polizia, la magistratura fa la magistratura, etc, ma ogni insegnante che fa questo lavoro con consapevolezza, ogni dirigente scolastico che conosce le caratteristiche della comunità che dirige sa bene che quel circuito è esattamente il circuito che si attiva quando la scuola NON funziona.
E perché non funziona, oltre che per il fatto di non avere strutture adeguate, finanziamenti adeguati, numeri adeguati e tante altre cose sulle quali scriviamo e ci battiamo da sempre?
Perché se rinuncia ad avere una teoria della società, se non riconosce che il conflitto e la radicalizzazione sono il portato di un modello sociale iniquo e sempre più votato alla guerra, al razzismo e alla esclusione sociale, se rinuncia dunque al suo mandato formativo generale, allora sarà costretta ad affidarsi a soggetti terzi che diranno come ci si rapporta ai ragazzi.
Resta poi nell'ombra, ma neanche troppo poi, il tema della politica nelle scuole.
I ragazzi che si organizzano e protestano, per il clima, per la scuola che gli crolla in testa, per il futuro che non c'è, contro la guerra, sono degli estremisti radicali?
Questo non è scritto in nessuno dei titoli degli interventi del seminario, solo seguendolo si può scoprire, ma è chiaro che anche rispetto a tutto questo l'ottica ormai prevalente è quella della neutralizzazione del conflitto e della possibilità di esprimerlo.
Probabilmente siamo andati oltre le intenzioni e le tematiche che poi saranno realmente affrontate il 22, ma vorremmo che il campanello di allarme che ci è scattato in testa leggendo quel programma, sia risuonato nella mente di tante colleghe e colleghi, che devono prendere pieno possesso degli strumenti del proprio lavoro, e tornare a parlare di tutto coi propri studenti. Di #democrazia, #partecipazione, #storia, #economia, #lavoro, #sicurezza e #diritti.
L'unico vero approccio integrato è questo, il resto fotografa alcuni problemi reali, ma certo non li risolve alla radice.