TORINO, 3 LUGLIO 2009 - PATTO DI BASE: RIVOLUZIONE IN CORSO

Torino -

Buona partecipazione, anche in Piemonte, alle iniziative di sensibilizzazione messe in atto lo scorso 3 luglio dal patto di base (si veda, al fondo di questa pagina, il reportage fotografico relativo al presidio organizzato sotto la RAI di Torino), per contrastare le misure discriminatorie proposte dal ministro Brunetta e recentemente approvate in parlamento, contro il pubblico impiego. Le interviste rilasciate dai nostri rappresentanti sono state trasmesse dalle emittenti locali, mentre la televisione di stato - come avviene quasi sempre – sebbene presente alla manifestazione coi propri reporter, ha risposto con un silenzio assordante al quale siamo costretti a sopperire con i nostri poveri mezzi di contro-informazione, nella “splendida solitudine” in cui, per l’ennesima volta, veniamo a trovarci.  

CGIL, CISL e UIL, pronte ad attribuirsi meriti per i quali altri si sono esposti – si veda la mancata approvazione dell’articolo sulle fasce di reperibilità durante le assenze per malattia, contro il quale le uniche iniziative, in termini di resistenza civile, sono state intraprese da questa organizzazione – nulla hanno fatto per contrastare la vera e più grande ingiustizia: l’erogazione differenziata (per meriti soggettivamente accertati dai dirigenti) dello stipendio accessorio che condanna il 25% dei dipendenti pubblici a non percepirne un centesimo. Questo vuol dire che in enti pubblici quali INPS e Agenzie fiscali, che rappresentano punte d’eccellenza riconosciute, dallo stesso ministro Brunetta, nella Pubblica Amministrazione; che hanno sortito, nella lotta all’evasione contributiva e fiscale, i successi a tutti noti (col recupero dei cosiddetti “tesoretti”), il 25% degli addetti si vedrà decurtare il salario di un importo di oltre 3.000 euro l’anno rischiando, per di più, di essere licenziati. In questi stessi enti già, da oltre vent’anni, buona parte del salario è legato a incentivi di produzione collettivi che, con tutti i limiti da noi più volte denunciati, hanno comunque sortito il positivo effetto di aggregare i lavoratori intorno a obbiettivi e strategie di servizio condivisi che la nuova legge mette, invece, in pericolo trasformando i luoghi di lavoro in altrettanti teatri di una guerra fra poveri che vedrà i lavoratori affrontarsi individualmente per il classico “tozzo di pane”. L’ambiente di lavoro, già segnato dall’incidenza elevatissima dei fenomeni di mobbing, non potrà che peggiorare, così come i livelli di produttività. E’ evidente che gli obbiettivi di Brunetta siano ben diversi da quelli dichiarati. Qui stanno le ragioni dello sciopero stigmatizzate, da Luigi Casali, nell’intervista per l’occasione rilasciata a Primantenna e andata in onda la sera stessa (scaricabile dal fondo di questa pagina, insieme a quelle rilasciate da Franco Graziani, nel formato di Window Media Player). Casali, inoltre, ha evidenziato come i lavoratori pubblici siano meri applicatori di norme farraginose e contraddittorie che non tengono conto dei reali bisogni del  pubblico né, tanto meno, delle difficoltà degli addetti.

 

“Rivoluzione in corso” è il titolo dell’ultimo libro pubblicato da Renato Brunetta. In una puntata della trasmissione (andata in onda su LA7 il 25 giugno scorso) OTTO E MEZZO che lo recensiva, il ministro ha dichiarato che:

 

  • nel corso di questo periodo di crisi, stipendi e pensioni sono cresciuti più dell’inflazione;
  • il motivo che dissuade gli italiani dai consumi non è la crisi, ma la paura, e che è per questo motivo che in Italia ancora non esiste un conflitto sociale.

 

Posto che le cifre fornite dal ministro alla Funzione Pubblica e all’Innovazione siano corrette – qualche dubbio, dati i precedenti, è più che lecito – ci piacerebbe capire perché mai un dipendente pubblico (che, a un’età media più vicina ai cinquant’anni che ai quaranta, non è in grado di prevedere quale sarà il proprio reddito futuro e che potrebbe anche perderlo nel giro di due anni) non dovrebbe avere paura?

 

Quanto, poi, all’affermazione fatta dal ministro - nella medesima occasione - di rappresentare 60 milioni di italiani, ci pare appena il caso di sottolineare che, proprio in quanto chiamato a rappresentare il popolo italiano nella sua interezza (compresa quella parte minoritaria che non ha votato la coalizione di cui fa parte), dovrebbe evitare posizioni e atteggiamenti discriminatori per chiunque. In democrazia la legittima tutela degli interessi di una maggioranza non dovrebbe mai essere esercitata discriminando e criminalizzando la minoranza. Più che una rivoluzione, l’azione del ministro ci sembra rappresentare un’involuzione verso zone più oscure della nostra storia recente, mentre le norme appena varate ci ricordano, per molti versi, le leggi razziali promulgate durante il Ventennio. L’unica “Rivoluzione in corso” in questo paese sembra, al contrario, essere quella portata avanti da RdB-CUB e dalle forze del Patto di Base. …Che Brunetta se ne faccia una ragione!

…E spieghi come intende restituire fiducia a quella parte del paese che noi rappresentiamo e che egli, al contrario, tutti i giorni bistrattata, discrimina e avvilisce.